Ieri il mio collega Daniel si è dovuto buttare in un fosso con la macchina del progetto per evitare di scontrarsi con un matto che veniva in direzione opposta. Alla fine Daniel non si è fatto niente, solo un po’ di spavento. Neanche l’auto ha subito grossi danni, molto fango su un lato e s’è rotta la manopola delle frecce e dei fari. Frecce e fari sono importanti su un’auto – come nella vita – e così stamattina sono uscito presto per risolvere il problema. Il meccanico vicino casa mi ha indicato un negozio di autoricambi Fiat all’angolo di Honorio Pueyrredon e J. B. Justo. Sono andato, ho trovato il ricambio e ho chiesto la fattura. I dati per farmi fare la fattura non riesco a impararli a memoria e ce li ho nel portafogli, segnati su un post-it che, a sua volta, è attaccato alla patente di guida (metodo antidiluviano, lo so). Il signore a cui do i dati per la fattura – un sessantenne serio, grasso e pelato – comincia a rigirare la mia patente tra le mani, la apre, guarda i miei dati, la foto. Tale intrusione comincia a innervosirmi. A un certo punto il signore alza lo sguardo verso di me, si apre in un sorriso e comincia a parlarmi in italiano. Chiama gli altri gestori del negozio (fratelli? cognati?) per mostrare la mia patente come se fosse un prezioso cimelio. E tutti parlano in italiano, un italiano sorprendendemente corretto. Anch’io, ormai arresomi al clima di fratellanza peninsulare, comincio a parlare in italiano con loro. Potremmo trovarci in un qualsiasi negozio di autoricambi di Milazzo o di Pordenone. Esco con un “grazie e arrivederci”. Continua a stupirmi questa Argentina tanto italiana.
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