Lo sapevate che…

Per motivi di lavoro sono finito a spulciare il sito della Bauli, quelli del pandoro. E ho scoperto che nella storia dell’azienda c’è un’avventurosa vicenda di emigrazione in Argentina del fondatore, con tanto di naufragio del piroscafo e salvataggio miracoloso. Il capostipite Bauli alla fine arrivò a Buenos Aires, aprì la sua pasticceria e, in pochi mesi, fece fortuna, trovò la sua America.  Fino a quando, una decina di anni dopo, chissà perché, decise di rientrare a Verona e lì cominciò la storia dell’azienda come la conosciamo oggi. Leggendo questa storia non ho potuto fare a meno di ripensare alle tante confiterías di Buenos Aires con le loro spaziose e ricche vetrine. Le prime volte che andavo in visita a Buenos Aires, proveniente dal nordeste brasiliano povero di tradizione pasticciera,  rimanevo incantato come un bambino davanti a quelle vetrine piene di creme, cioccolato, bignè e torte. Passeggiare per Corrientes o Rivadavia si trasformava sempre in una specie di via crucis in cui io rischiavo di ritrovarmi attaccato a sbavare contro qualche vetrina. Ho pensato che magari da qualche parte, in qualcuna di quelle bontà, c’è ancora lo zampino del signor Bauli o di qualcuno dei suoi 40 dipendenti portegni. Dove sarà stata la pasticceria del signor Bauli? a San Telmo? alla Boca? a Caballito? resterà qualche testimonianza? chissà se qualcuno riesce a scoprirlo…

Regalo di compleanno

Recife è stata la prima città dove sono arrivato in Brasile. A Recife, nei tre anni in cui ho lavorato a Brasilia, ci sono tornato spesso. In seguito, a Recife ho passato quattro anni intensi dal punto di vista personale e professionale. In quella città, difficile e piena di contrasti, ma ricca di storia e di cultura, di suoni e di sapori, mi sono trovato sempre bene. Un pezzo del mio cuore dev’essere rimasto sulle rive del Rio Capibaribe, tra una cartola e un maracatù.

Perù

Sono atterrato in Perù. Se posso vi aggiorno con Twitter qui oppure nella colonna qui a destra, in alto. Intanto vi lascio una frase suggerita da un’amica che vuole rimanere anonima (chissà perché…)

“Il viaggio promuove sommovimenti interiori, strane associazioni, libera cattivi e buoni umori in una tale quantità che spesso siamo i primi a sorprenderci del nostro serbatoio interno” (“Non per cattiveria. Confessioni
di un viaggiatore pigro”, di Antonio Pascale, Laterza).

Migrante e migratore

L’altra sera mi trovavo davanti all’aeroporto di Catania aspettando che qualcuno venisse a prendermi. Solita gente, i tassisti, i passeggeri che escono assatanati a fumare l’ultima sigaretta, qualche perdigiorno. Passa accanto a me un uomo, un immigrato, che parla al cellulare in una lingua per me incomprensibile. I nostri sguardi si incrociano per un attimo, lui passa oltre, il telefono attaccato all’orecchio. Dopo un attimo torna sui suoi passi e mi porge il cellulare. All’altro capo del filo c’è la voce di un altro uomo che nel suo italiano stentato mi spiega che suo fratello è appena arrivato in Italia, non parla una parola di italiano e mi chiede di aiutarlo a prendere un autobus che lo porterebbe in uno slargo non lontano dall’aeroporto dove qualcuno passerebbe a prenderlo per portarlo a destinazione. Va bene, nessun problema, ma come faccio a spiegare se lui non parla l’italiano? cerco di sfoderare qualche parola in inglese, il mio spagnolo, niente, assolutamente niente. L’unica parola comprensibile che lui riesce a dire è Bangladesh. Beh, è già qualcosa, sappiamo da dove viene anche se in questo momento è più importante dove deve andare. Ma che lingua parlano nel Bangladesh? Tiro fuori dalla tasca dei pezzetti di carta, comincio a fare degli schizzi, segno numeri di autobus urbani, mi sbraccio per indicare fermate e capolinea. Mi pare che i miei sforzi non abbiano molto successo. Ogni tanto lui ricomincia a parlare al cellulare col fratello e regolarmente me lo passa, almeno ho qualcuno a cui confidare la mia frustrazione. Proviamo col telefono senza fili, io spiego qualcosa in italiano al telefono e poi lui lo spiega nella loro lingua misteriosa al fratello, che ascolta sempre compìto ma non sorride mai. Questo quadretto delizioso va avanti per una buona mezzoretta. Risultati scarsi, direi nulli. Tra l’altro non passa nessun autobus, il vigile urbano impegnato a multare i furbastri della sosta vietata mi dà delle informazioni che si rivelano sbagliate. Alla fine la grande decisione, presa ovviamente in questa specie di teleconferenza interculturale: il fratello raggiungerà a piedi lo slargo. Faccio una piantina col percorso da fare sul retro di un biglietto della metropolitana di Milano. Lui fa segno di aver capito, mi ringrazia a suo modo e si avvia lungo il vialone lasciandosi l’aeroporto alle spalle. Good luck, ne ha bisogno. Io torno sui miei passi, a osservare distratto tassisti e passeggeri. Penso di avergli dato una mano. O forse no. Ah, ho dimenticato di verificare prima se fosse un clandestino.

Meteoropatia

In questi primi giorni di primavera, da queste parti il cielo è plumbeo, pesante. Una cappa ci sovrasta durante tutto il giorno, una cappa che i raggi del sole non riescono a penetrare. Le città sono ancora più tristi, il paesaggio appare cupo e avvilito, l’orizzonte grigio del mare frena il desiderio di lidi lontani. Neanche le prime rondini riescono a mettere allegria. Qualcuno decide di andarsene. Gli innamorati non si parlano, gli amici non vanno al cinema. Gli amori durano il tempo di una canzone.  Il mio amico Nicola direbbe che siamo tutti un po’ meteoropatici. E, come al solito, avrebbe ragione.

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Efficace e divertente (via booksblog)

Sapessi com’è strano

Rientrato da Milano, rifletto su alcune cose strane che mi sono successe in quella città. Ho dormito nella stanzetta di una coniglia che si chiama Tobia, sono finito dentro un aperitivo vegano, ho incontrato degli amici e conoscenti che non vedevo da quando sono partito da Buenos Aires. Ho mangiato uno dei migliori fritto misto di pesce, grazie agli amici della cooperativa che avevano portato il pesce fresco direttamente da Portopalo. E, infine,  una mattina, sulle prime pagine dei giornali si leggeva “clamoroso al Cibali”. Impagabile.

…torno

Tanti mesi in silenzio bloguero. Non preoccupatevi, tutto normale, silenzio da migratore.  In questi mesi sono successe varie cose. La selección argentina si è qualificata in extremis per i mondiali in Sudafrica, con tanto di contorno di un Maradona in escandescenze; Rio de Janeiro sarà la sede delle olimpiadi del 2016; Lula è stato scelto come uomo dell’anno da Le Monde; “la negra” Mercedes Sosa ci ha lasciato lasciandoci un po’ più tristi. Su quello che è successo nell’emisfero nord è meglio stendere un velo misericordioso. Ah, poi il migratore ha cambiato ancora casa, adesso vive all’ombra di un santuario ed è allietato dalle musichette religiose diffuse dagli altoparlanti. E’ successo anche che i miei idoli argentini si sono allargati e hanno aperto un nuovo blog proponendo “una soluzione sudamericana ai problemi degli italiani”. In fondo, anche se da punti di osservazione differenti, continuiamo a volere la stessa cosa: vedere il mondo sottosopra. Magari s’aggiusta. E se non s’aggiusta almeno ci si diverte di più.

Quasi quasi…

Pensiero stupendo

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La situazione della politica e della società italiana è talmente disastrata – non c’è bisogno di portare esempi, no? – che in uno di quei momenti in cui uno pensa “qui bisogna fare qualcosa” mi è venuto in mente che potrei iscrivermi al PD. Alcuni amici, l’altra sera, ci hanno riso sopra  e, come dire, me l’hanno sconsigliato: una dalla ferma posizione che a votare non ci va più, manco se la pagano; un altro dicendo che ormai tutto sta andando irrimediabilmente verso lo sfacelo ed è meglio dedicarsi ad altro, ad esempio a giocare a scacchi. Mah, adesso ci rifletto su. Qualcuno ha qualche suggerimento da dare in proposito?

P.S. La foto l’ho scattata un paio di settimane fa a L’Aquila. Emblema di un partito terremotato?


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